CRISI ESTERNA: NON PUOI CAMBIARE IL MONDO…GLI ALTRI!

Dal libro ’Ricomincio da me con il counseling’’.

Spazi di tras-formazione per tornare al centro del tuo ben-essere

Capitolo: Crisi Cambiamento

Ad ottobre 2017 davo alla luce il mio libro, primo e ultimo garantisco

Condivido alcuni passaggi del libro che mi auguro possano essere scintille di maggiore consapevolezza nella ricerca lenta e profonda della nostra esistenza al servizio del nostro proposito in ogni sistema sociale.

‘’Per la scrittura di questo libro ho ricercato stimoli all’interno di libri che avevo riposto negli scaffali ma che magicamente in questa ricerca attraevano la mia attenzione, sembravo un cane da tartufi, davanti alla libreria osservavo i titoli sul dorso e scorrevo i piani sopra e sotto.

Così ho recuperato il primo: “ Viva l’ Itaglia” di Sergio Zavoli del 1995, ben 22 anni fa affrontava i segni più controversi del cambiamento dando una fotografia disincantata, graffiante e impietosa di quel tempo. Uno scenario che allora pervadeva tutta la società civile e politica, lo sport e lo spettacolo. Rileggo ed attualizzo i problemi di coscienza che si erano accumulati e che sembrano immutevoli nel tempo. Lui, allora, dava un messaggio di speranza per un paese che “dovrà scoprirsi più pulito ma meno approssimativo, provinciale, furbastro, cialtrone”. Ai posteri l’ardua sentenza. I posteri siamo noi e forse siamo già due volte posteri!

Poi è arrivato il secondo libro del 2011 “Scenari Paralleli. Organizzare la complessità”. Una raccolta di “sguardi” a cura di Niccolo’ Querci., contributi formativi trasversali alla complessità nella società e nelle imprese. Nella prefazione ricorda che “ogni volta che abbiamo voglia e coraggio di lasciar socchiuso l’ingresso alla nostra conoscenza regaliamo a noi stessi una, seppur piccola, opportunità di crescita”. In questo spazio ho ritrovato alcuni stimoli interessanti dal filosofo americano James Hillman che osserva il dualismo della complessità verso la semplicità. E’ vero rischiamo di andare alla deriva tra due estremi, rischiamo di vivere una vita troppo complicata alla ricerca di continue certezze come zattere di salvataggio o all’opposto rischiamo di ritirarci nella vita puramente ascetica e meditativa lontano dall’arena. La realtà come ho imparato, a mie spese, sta sempre nel mezzo, bastava ascoltare i latini “ in medio stat virtus (la virtù sta nel mezzo)”. La prospettiva proposta dal sociologo Domenico De Masi esorta a sostituire la cultura industriale del sacrificio finalizzato all’efficienza e alla pura sopravvivenza con una cultura post-industriale del benessere finalizzata alla qualità della vita. Concordo pienamente ed e’ perfettamente in linea con una nuova filosofia esistenziale che pongo alla base del counseling. Un movimento vitale che abbandona il sacrificio calvinista del dovere per il dovere, lascia andare sensi di colpa arcaici e deleteri sostiene e sviluppa la piena generatività e auto-realizzazione. Nel libro curato da Querci mi sono soffermata su una serie di dati statistici sulle percezioni degli italiani sui temi della complessità, elaborati in modo ineccepibile da Nando Pagnoncelli, famoso sondaggista. Credo che se ripetessimo oggi la stessa analisi avremmo le stesse risposte. Le osservazioni emerse riguardavano la crisi del rapporto politica- cittadino- contribuente, il processo di globalizzazione e la ri-dislocazione delle forme di rappresentanza, la crisi negli stili di vita e di consumo. Sono trascorsi sette anni e mi sembra di poter dire che le forze collettive e sociali sono oggi più divergenti che convergenti. Ma sono ottimista e quindi credo ancora che possiamo ritrovare una “Polis” (un modello politico sociale sostenibile).

Poi curiosando tra i piani della libreria ho preso un terzo libro. Ho dato una iniezione di energia riportando alla luce un testo del 2014 “Abbondanza. Il futuro è migliore di quanto pensiate” di Peter H. Diamandis e Steven Kotler. Qui risuona “debito, disoccupazione, disastri naturali, sperequazione sociale, carestie, risorse naturali prosciugate. Tutto sembra annunciare un futuro cupo e apocalittico ma forse non è così. Forse il bicchiere che ci sembra non solo più vuoto ma anche rotto in realtà è pieno di possibilità. Un mondo tutt’altro che perfetto ma migliore di quando pensiamo e un futuro con grandi opportunità”. La tesi degli autori è che grazie all’innovazione e alle nuove scoperte scientifiche migliorerà la nostra qualità di vita. Ancora un altro dilemma mentre la tecnologia sta tagliando milioni di posti di lavoro: la qualità della vita di chi migliorerà ? di chi sta sopra o sotto? Di chi sta qui o là? di chi sta a destra o a sinistra…naturalmente “metaforicamente” parlando? Un atto di fede nel progresso che per ora latita nel manifestarsi ad ampio raggio! Oggi non siamo più nel 1995 ( primo libro citato), sono trascorsi più di vent’anni, non siamo posteri, lo sono invece le nuove generazioni alle quali dobbiamo un futuro migliore. Un futuro di speranza, i nostri genitori hanno lottato per i loro figli, e noi?.

Infine la ricerca nella mia libreria è terminata con il quarto libro, un testo fresco di lettura, pubblicato ad aprile 2017. Voglio onorare lo straordinario Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo, morto mentre stava terminando questa nuova opera. Un esempio di linguaggio semplice e comprensibile, uno studioso che ha ben sintetizzato la post-modernità con la crescita dell’individualismo che naviga nella liquidità del cambiamento e dell’incertezza. “ Nati liquidi. Trasformazioni del terzo millennio” è un piacevole dialogo tra Bauman e Thomas Lencini, giovane giornalista nato nel 1985. Li separa un ponte lungo 60 anni di vita vissuta. Un testo denso di stimoli di riflessione, riporta due prospettive generazionali apparentemente opposte su tre aree trasformative del nuovo millennio.

La prima area di osservazione è la trasformazione sulla pelle e sul corpo; interessante osservare l’utilizzo crescente dei tatuaggi e della chirurgia estetica, la diffusione dell’hipster (giovani anticonformisti dallo stile alternativo nell’abbigliamento, negli accessori, nell’acconciatura. Sembra esistere una apparente necessità di omologarsi all’estetica della modernità liquida, in questa fluttuazione vedo un tentativo precario di barcamenarsi tra la ricerca dell’identificazione di sé e la rielaborazione di una nuova identità sociale. Chi siamo? Chi vorremmo essere? Chi lo decide? Noi o le mode del momento che effimere vanno e vengono spostandoci dal nostro centro?

Nel libro di Bauman e Lencini segue una seconda area di osservazione: la trasformazione dell’aggressività nel bullismo. Trovo suggestivo il richiamo al tema dei riti e alla teoria dell’antropologo Arnold Van Gennep per cui nei secoli abbiamo perso con il “processo di civilizzazione” l’accompagnamento alla “chiusura dei cicli della vita”. Cosa ci fa passare dall’infanzia all’adolescenza? Cosa ci porta nell’adultità? Il matrimonio rappresenta un rito di passaggio (celibe e nubile!) ma la sola convivenza ci fa sentire meno “single”? Rischiamo di essere disorientati nei passaggi tra diversi “stati” e non chiudere veramente la condizione precedente. Nelle tribù e nelle comunità si perpetuavano vari tipi di iniziazioni socialmente riconosciute che prevedevano sempre tre fasi successive, dalla separazione alla marginalità fino alla nuova aggregazione. Inizialmente veniva sospeso lo status sociale in un limbo di passaggio ma si presupponeva uno stadio evolutivo successivo finale: l’individuo tornava con nuove caratteristiche nel suo habitat naturale, più integrato e connesso. Anche nel bullismo si attiva una sorta di iniziazione. Come comprendiamo dai racconti delle vittime che riescono a denunciare questi abusi si sentono psicologicamente e spesso fisicamente separati, subiscono la prima fase di esclusione all’interno di un rito ancestrale che non prevede però oggi alcuna evoluzione. Le motivazioni che sento portate dai “carnefici” di queste aggressioni cambiano sull’onda delle mode del momento, resta un profondo e diffuso disagio esistenziale di base che esige di essere compreso e alleviato. Questo è un tema in forte escalation così come i femminicidi, le categorie più’ deboli e indifese facili prede. La nostra società così civilizzata dovrebbe trovare il modo di far sfogare la pressione accumulata e prevenire ogni ulteriore accumulo di tensione e aggressività sui più deboli. Sembra che il male e l’aggressività facciano parte della normalità e dell’ordinario quotidiano. I canali di comunicazione cercano sempre le immagini più cruente da mostrare in orari apparentemente protetti, c’è una costante ricerca per il macabro per esorcizzare la morte. Siamo incessantemente sottoposti a stimoli di aggressività e violenza che inquinano le coscienze e rischiano di isolarci, questa progressiva insensibilità ci allontana dal nostro ben-essere e condiziona il ben-essere collettivo. Faremmo meglio a famigliarizzare con il fatto che tutti dobbiamo morire, ad occuparci del nostro “ essere in vita” finche’ possiamo e se ce la facciamo “essere più solidali con i nostri simili”.

La terza e ultima trasformazione trattata nel libro di Bauman e Lencini è quella sessuale e amorosa. Qui cadono tutti i tabù nell’era dell’ecommerce sentimentale! Come ricorda Bauman “ I ragazzi di oggi sono come eravamo noi. Solo con qualche sottile differenza: noi siamo cresciuti con il telefono fisso, loro fissando il telefono! Anche se a pensarci bene non è del tutto vero”….la necessità dei giovani di allora, come quelli di oggi, di provare particolare interesse per tutte quelle realtà che accorciano ancora di più le distanze spaziali e accelerano il percorso di selezione e reclutamento dei partner sessuali, a favore di uno stradominio del tempo sullo spazio…la modernità liquida ha completamente modificato i nostri prototipi cinestetici…..sono infiniti i casi in cui il web, agendo come vetrina dell’identità umana, ha lasciato vittime sulla propria rete di connessione…con internet abbiamo davvero l’illusione di essere persone uniche e di essere in grado di gestire la sovrabbondanza di ricerca del senso della vita” .

Anche questa opportunità manipolata e malgestita ha creato dipendenze e disfunzionalità, colpa della tecnologia? No! L’uso o l’abuso dipende sempre dagli individui e dalla loro consapevolezza . Non mi riferisco solo alle nuove generazioni. Anche la mia e le precedenti si sono fatte ammaliare dalla sirena dei social perdendo talvolta centro e ben-essere. Le occasioni di crisi e cambiamento della società in atto sono molte e non sappiamo dove porteranno, anche le più ardite proiezioni sono oggi statisticamente poco significative. Sarebbe bello immaginare un mondo dove i saperi fluiscono tra vecchie e nuove generazioni, dove continuità e dis-continuità si incontrano e si danno il permesso di co-abitare. Il progresso dovrebbe essere per me frutto di fluidità tra le comunità che abitano questo pianeta ma troppo spesso vedo l’avidità pervadere anche il possesso del proprio sapere. Chiudo questo paragrafo come Amleto con il dilemma: quanto già avvenuto nei secoli è replicabile anche nella modernità liquida? Chissà? Basterebbe aprire un vero e sincero dialogo e scambio con i giovani, ascoltarli da uno spazio di inclusione delle diversità, di parità e intento comune.

In presenza di così tante domande e dubbi su cosa potrà accadere nel mondo forse radicarci nel “qui e ora” portando attenzione ai nostri cicli interiori può essere di aiuto per attivare le nostre personali trasformazioni.

Al servizio della parte divulgativa del mio proposito #happysystemichumanempowrment

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